Liberamente tratto dall’omonima Opera di Molière, scritto, diretto ed interpretato da Pietro Romano.

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E’ all’aplomb di monsieur Harpagon che questa volta Pietro Romano ne L’AVARO, liberamente tratto da L’AVARO di Molière, consegna lo scettro della Commedia Dialettale. L’esperimento è fortunato: nasce sotto la stella della geniale intuizione per la quale l’Autore traspone il teatro classico nella letteratura dialettale, non traducendo semplicemente, ma esaltando e definendo – in perfetta armonia tra soggetto, testo e messa in scena – l’essenza introspettiva della stesura. Su di essa sale la tela, innovando, paradossalmente, lo stile artistico vernacolare che, nel tempo, avrebbe rischiato di lasciare che la propria forza, contaminata di contemporaneo, si assopisse. La lingua parlata, anzi, recitata, non è, dunque, quella delle attuali borgate, ma ‘monticiana’, ‘tresteverina’, ‘de campo marzio’… Trilussa docet.

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Così, se con Goldoni, nelle scorse stagioni teatrali, anche la tradizione romanesca si arricchiva di Commedia dell’Arte, con Molière assume l’eleganza francese alla quale mancava, indiscutibilmente, il potere della comicità.    

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Il garbo molièrano, per magia teatrale, si sposta nella Caput Mundi che lo ‘adotta’, vezzeggiandolo, fino a fare del ‘nuovo’ Arpagone e dei suoi antichi difetti un personaggio positivo al quale tutto si può perdonare, dall’essere un pessimo giovane ‘patrigno’ per i figli della sorella, al negare il cibo persino ai cavalli, per non parlare della servitù; dal non cedere alle lusinghe della seduzione, al soffocare o non provare affatto il benché minimo cenno di tenerezza.  

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E la giostra di fatti e personaggi gira magistralmente, grazie anche all’abilità di un cast ineccepibile come un metronomo, magnifica corolla per Pietro Romano, protagonista ineguagliabile quanto caleidoscopico. L’Opera, pensata, curata e messa in scena, è, di per sé, garante di assoluto divertimento che sorprenderebbe persino lo stesso Molière…

Foto di Cristiano Alfani

© Pietro Romano